Embolizzazione dei Fibromi Uterini: Cosa Sapere
I fibromi uterini (o miomi) sono neoformazioni solide che si originano dal tessuto muscolare dell’utero. Rappresentano la neoplasia benigna più frequente nelle donne, tanto che si stima che 1 donna su 3 dopo i 35 anni ne sia portatrice. Nonostante non siano sempre sintomatici, spesso i fibromi rendono necessario un intervento specialistico per trattarli. Fino ad alcuni anni fa le uniche soluzioni erano di tipo chirurgico, ma ultimamente si è affermata un’alternativa radiologica mini-invasiva per eliminare i fibromi uterini: l’embolizzazione. Questa tecnica ha l’obiettivo di bloccare l’apporto sanguigno ai fibromi in modo che, non ricevendo più il loro nutrimento, smettono di crescere, si riducono poco a poco di volume senza che sia necessario intervenire con la chirurgia.
Embolizzazione: prima, durante e dopo
L’embolizzazione dei fibromi è una procedura minimamente invasiva che mira a bloccare l’afflusso di sangue ai fibromi uterini. Si effettua utilizzando sostanze embolizzanti introdotte attraverso un catetere arterioso, che viene inizialmente posizionato nell’arteria femorale e poi guidato fino all’arteria uterina sotto controllo radiologico. L’intervento prevede un’occlusione mirata dei vasi sanguigni, in modo che il materiale embolizzante interrompa il flusso sanguigno esclusivamente verso il fibroma, privandolo delle risorse necessarie per svilupparsi. Terminata la devascolarizzazione, lo specialista rimuove il catetere e applica una medicazione compressiva sul punto d’inserzione.
L’intera procedura si svolge in una sala angiografica appositamente sterilizzata e dura mediamente circa un’ora. Generalmente, è prevista un’anestesia locale, mentre per fibromi di dimensioni particolarmente grandi (10-12 cm), si può optare per l’anestesia epidurale. Dopo l’intervento, è richiesto un breve ricovero ospedaliero, con dimissione della paziente prevista il giorno successivo.
Nel periodo post-operatorio, possono insorgere sintomi transitori quali febbre, nausea e dolori addominali o pelvici. Questi fastidi, più comuni nei casi di fibromi di grandi dimensioni, tendono a risolversi in pochi giorni e possono essere gestiti con farmaci antidolorifici prescritti dallo specialista. Raramente, la procedura può comportare amenorrea temporanea o permanente.
I controlli post-embolizzazione rivestono un ruolo fondamentale per l’osservazione dei risultati. Le verifiche si effettuano a 2 mesi, 6 mesi, 12 mesi dall’intervento e successivamente con cadenza annuale. Attraverso l’esame eco-color-doppler, si monitora la riduzione del volume del fibroma e la regressione della vascolarizzazione associata, verificando così la piena efficacia del trattamento.
A chi è destinata l’embolizzazione?
La valutazione durante la visita di radiologia interventistica serve a stabilire l’idoneità alla procedura di embolizzazione. Questa tecnica, infatti, non è indicata in alcune circostanze specifiche, tra cui:
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presenza di fibromi uterini asintomatici;
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sanguinamento uterino abbondante, sia durante le mestruazioni che nei periodi intermestruali (menometrorragie) associato a patologie maligne;
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donne in trattamento ormonale con progestinici; – presenza di controindicazioni al cateterismo;
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donne in gravidanza;
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ipersensibilità o allergia ai mezzi di contrasto impiegati per monitorare il posizionamento del catetere.
D’altro canto, l’embolizzazione è una soluzione adatta per donne affette da fibromi sintomatici (non peduncolati), che manifestano persistenti emorragie o sintomi che possano mettere a rischio la loro salute fisica, quali gravi perdite di sangue. Tale trattamento risulta particolarmente indicato anche per donne che presentano un alto rischio anestesiologico o operatorio, che rende controindicato il tradizionale intervento chirurgico.
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